giovedì 25 marzo 2010

4 - Un tempo lungo per riflettere… un tempo propizio per riscoprire “l’essenziale” - fr.Giuseppe


È da giorni che desidero inviare queste righe al blog.
Nell’indirizzarle ai vari amici frati e laici che, di tanto in tanto e sopratutto in questi giorni, cercano nostre notizie, vorrei poter arrivare, in modo speciale, a quegli amici frati con cui ho vissuto gli anni della formazione, anni con molti ricordi belli, simpatici, ricordi che mi hanno accompagnato parecchio in questi dieci anni di Cile, ricordi che in molti momenti (e questo é uno di quelli) ti fanno sentire meno quel qualcosa che si chiama lontananza e - perché no - solitudine.
A Nando, Fabio, Alberto, Alessandro, Renato e... altri: che quello che condivido possa arrivarvi come un gesto di affettuoso ricordo e - se può servire - come una ragione per riflettere e pensare una volta in piú alle cose che “toccano” con forza la nostra vita di persone e di consacrati.

Sono arrivato a Curicó circa un mese fa: lasciandomi alle spalle i dieci anni di Santiago, i ruoli di rettore e parroco, una comunitá di laici attiva e ben unita a noi frati, una vita pastorale dinamica e coinvolgente e, lasciatemelo dire, una stanza spaziosa!!!
Nonostante il discreto “ridimensionamento volumetrico” della stanza che mi ha obbligato a ottimizzare gli spazi “al millimetro”, l’impatto con la cittá era piú che positivo: una cittá bella e accogliente, ricca di verde, una cittá in cui finalmente potere girare a piedi respirando un’aria pulita (addio allo smog di Santiago!!!) e sotto un cielo, finalmente, davvero e persistentemente azzurro.
In parrocchia era bene non andare ancora, visto che il cambio ufficiale (con tanto di Vescovo ad accoglierci) era previsto per il giorno 28 di febbraio. Nel frattempo in comunità iniziavano i primi turni in cucina, che mi obbligavano a “spremere le meningi” e a ricordare quanto vedevo preparare alle donne di casa quando ero piccolo (devo dire che il mio menú é assai povero, peró fino ad oggi nessuno ha manifestado segni di gastro-enterite e, oserei aggiungere, che quasi quasi mi diverte pensare a come variare il classico ragú alla bolognese... peró é meglio che non ci pensi troppo!).
Tutto molto tranquillo mentre incominciava a farsi sentire in me la impazienza di conoscere la nuova realtá parrocchiale e di inserirmi il piú presto possibile nelle attività pastorali. Lasciare incarichi di maggiore responsabilitá (vedi parroco e superiore) fa bene, peró per quanto uno sia consapevole di tutto ció, avendoli assunti per vari anni, ti rimangono nel sangue alcuni “batteri” (vedi il “bacterium parroci”) per eliminare i quali ci vuole tempo e sopratutto quella capacitá di “spogliazione” che tutti auspichiamo, ma che di fatto….
E arriva la notte del 26: tutto ben programmato circa la messa di assunzione della parrocchia, preparata pure l’accoglienza di quanti sarebbero venuti da Santiago, tranquillo il novello parroco (fr.Tullio) alla antevigilia dell’evento.

E di colpo tutto si blocca: alle 3.35 del mattino di quel 27 febbraio ci ritroviamo improvisamente a “ballare” e a “saltare” come non mai.
Ci siamo ritrovati nel giardinetto davanti alla casa, finita la lunga scossa, dicendoci che stavamo bene: nessuno di noi comunque immaginava quanto devastante ed esteso fosse il terremoto che stavamo vivendo. A poco a poco arrivavano le prime notizie su quanto stava passando in Curicó (ben presto avremmo visto di persona i terribili danni) e solo succesivamente quanto successo nel litorale costiero causa lo tsunami. Riuscimmo anche a comunicarci con i nostri familiari in Italia per tranquillizzarli e a comunicare alla Provincia che stavamo bene.
E si arrivava senza luce e con un filo di acqua alla domenica 28 febbraio, giorno della assunzione della parrocchia: attraverso i giornali ci si poteva rendere conto della catastrofe a livello locale e nazionale.
E iniziavano le repliche, alcune davvero forti e in certi giorni assai frequenti e, sopratutto, iniziava il contatto con la nostra gente: visitarla nelle loro case, ascoltarla, “registrare” necessitá, angustia, pena, progetti infranti…

È a partire da questo contesto e in questo contesto che ho iniziato a riflettere come non mai, a chiedermi e a chiedere (al buon Dio)… senza risposte, a cercare di “delimitare” seriamente ció che é essenziale e fondamentale (a livello umano e nell’impegno apostolico/pastorale), a ridimensionare quanto sembra “vitale” e “necessario” e non lo é, o lo é solo parzialmente.
Nessuno di noi tre ha mai manifestato una particolare paura, aiutati forse in questo dal renderci conto di vivere in una casa ben solida, come solida ha dimostrato essere la chiesa parrocchiale che non ha avuto danni (il 70% delle chiese della diocesi é fuori uso: varie distrutte e molte con seri problemi strutturali, mentre quella che ci è stata affidata è intatta). Peró tutti e tre abbiamo “toccato con mano” la estrema fragilitá dell’esistenza umana: l’esserci e il non potere esserci piú (in termini ovviamente di vita) nello spazio di secondi (sono cose che si dicono, peró viverle direttamente é diverso).

Accanto a questa prima e immediata riflessione in negativo, sono scaturite riflessioni positive nel senso che ti fanno non solo dire che la vita é un bellissimo e grande dono che Dio ci fa (sono tante le persone che hanno perso tutto, ma che si sentono riconoscenti al buon Dio per aver conservato in vita loro e i propri familiari: da qui il loro “attingere” la forza, il desiderio, la volontá di ricominciare, di ricostruire nonostante tutto…), ma che la vita in se stessa, e sopratutto in un’ottica di fede semplice e profonda, assume una speciale bellezza quando si recuperano o si accentuano, come non mai, determinati valori.
Spontaneamente e con sempre piú forza si é sviluppato uno spirito solidario: vicini di casa preoccupati gli uni degli altri (in alcuni casi superando e cancellando vecchie difficoltá o rancori); famiglie unite nel dolore e nella tristezza di avere perduto ogni cosa, peró soprattutto capaci di afforontare congiuntamente l’emergenza creando piccole comunitá dove si preparano e si prendono i pasti in comune, si condivide una tenda, si riuniscono i bambini e li si fa giocare. Sentire che qualcuno si preoccupa di te, ti chiede ció di cui hai piú bisogno, ti ascolta, ti accompagna: tutto questo ti fa sentire meglio e aiuta tantissimo a sviluppare (e a volte in un modo inaudito) quel seme di speranza che tutti ci portiamo dentro.

E qui si innesta una riflessione che io definisco “pastorale”: il terremoto ci ha colpiti all’inizio del nuovo anno pastorale (marzo da noi é come settembre da voi) e sono molte le parrocchie la cui chiesa e patronato non sono piú agibili. In un incontro di tutti i sacerdoti della diocesi con il Vescovo si diceva che era necessario se non propio re-inventare, sicuramente ri-pensare questo anno pastorale 2010/2011.
Progetto pastorale diocesano, progetto pastorale parrocchiale: cose sicuramente importanti, ma che in questo momento si devono porre a lato per lasciare posto alla prioritá del “ricostruire”: ricostruire/costruire gli spazi che permettano celebrazioni e attivitá pastorali, ma sopratutto recuperare con forza quella “caritá pastorale” sulla quale spesso prende il sopravvento un giusto ma a volte eccessivo “ardore” organizzativo che trasforma il “pastore” in un “manager”. Parroci e sacerdoti chiamati a una pastorale della persona, che si spendono nell’ascoltare, nell’accompagnare, nel lavorare e ricostruire con la gente, nel sollevare gli animi e, come base fondamentale, privilegiando i momenti della Eucarestia e della preghiera. Non sará forse questo il tipo di pastorale che piú dovrebbe caratterizzarci nella vita apostolica, e questo giá in condizioni di “normalitá”, senza dovere aspettare che un terremoto ci porti via chiesa e patronato?

Noi tre abbiamo la “fortuna” di non avere perduto né chiesa né patronato, peró spero che a fianco del “lusso” che ci possiamo permettere in termini di attivitá pastorali (giá di fatto iniziate) si radichi e si mantenga questa pastorale della persona, una pastorale che ha come modello fondante e fondamentale il “modus operandi” del Signore.
Vi assicuro che tutte le mie impazienze “pastorali” (a carico di che area mi metteranno?, quando iniziamo?, e così via...) stanno perdendo sempre piú forza (non é cosí facile farle sparire di colpo, nemmeno con un terremoto) e sto piuttosto pensando a come “aumentare” il tempo dello stare con, fare con..

Certo che questa terza comunitá della delegazione ha dovuto penare non poco per “nascere”: un lungo e serio discernimento, il no all’ultimo momento della diocesi di Melipilla (ringraziamo il Signore per quel no, visto che chiesa e convento in cui si pensava di andare… hanno avuto seri danni con il terremoto), l’arrivo un po’ troppo “movimentato” a Curicó…
Peró niente é casuale: se siamo qui, in una cittadina dove siamo praticamente l’unica comunitá religiosa maschile, ci sará una ragione: Che cosa ci chiede, che cosa si aspetta da noi il buon Dio? Cosa dobbiamo testimoniare come religiosi e come fraternitá francescana?

Dateci tempo per riflettere e rispondere a queste domande… se riusciremo a trovare una risposta.

Un saluto affettuoso.
Fra Giuseppe

1 commento:

  1. grazie 'dottore' per questa tua condivisione intelligente e sincera, ricca di riferimenti nascosti a quanto vissuto insieme nella formazione iniziale come sogni-desideri-prospettive. è un bel testo per la settimana santa, per una ricostruzione interiore accarezzata dalla speranza pasquale che dà senso alla vita e alla morte. leggevo qualche giorno fa un testo di enzo bianchi dove diceva anche: "chi non sa dare senso alla morte non può trovare il senso vero della vita", invitando a saper ricominciare a parlare delle 'questioni ultime' senza terrorizzare sul giudizio ma responsabilizzando sulla pienezza di vita.
    accolgo con riconoscenza il tuo saluto affettuoso... con la nostalgia della tua pasta al ragù alla bolognese (?).
    un abbraccio sincero a te e frati

    fav

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