giovedì 19 giugno 2008

5 - Inculturazione - fr.Christian (giugno 2008)

INCULTURAZIONE… ovvero aneddoti di vita quotidiana


Eh sì, ho messo un titolo serio per “tirarmela un po’”, ma non credo di potervi parlare di inculturazione in senso sociologico o antropologico o quant’altro, soltanto vorrei scrivervi qualche riga abbastanza leggera, giusto per inquadrare un po’ la realtà in cui vivo e rendervi partecipi di qualche aspetto di vita quotidiana, nulla più, rispondendo così ad alcune domande che mi giungono frequenti.
Prometto che non ci metterò tutta l’enfasi dell’ultima letterra, non mi piace l’etichetta del missionario strappalacrime... ☺ Tuttavia vi ringrazio di cuore per le risposte arrivatemi, mi fanno respirare la vostra amicizia, non ancora offuscata dai mesi che scorrono rapidi.

“Qual è l’aspetto ambientale che più ti ha colpito appena arrivato in Cile, e soprattutto a Copiapó?”
Non ci crederete, ma sono i veri padroni di tutte le strade: i cani. Ce ne sono ovunque, sdraiati sul marciapiede o in mezzo alla strada, abituati a non spostarsi, perché tanto godono di tale rispetto che ci pensano i celeni ad evitarli, che siano a piedi, in bici o in auto. Non sta scritto da nessuna parte, ma se dicessimo che è l’animale sacro per questo popolo, credo che nessuno obietterebbe. Tant’è che partecipa abitualmente anche alle celebrazioni religiose, tanto il randagio come il domestico che accompagna a messa il suo padrone. Chi ha paura dei cani... qui gli passa per forza! Nemmeno io li ho mai amati molto, ma qui sto anche imparando a riconoscerli, ne chiamo anche tre o quattro per nome: sozza, “onto”, sucia... non posso smentirmi del tutto, cambia solo l’idioma ma la mia affettuosità non riesce proprio ad andare oltre.

“Qual è la cosa che più ti costa o ti manca?”
Devo confessarvi che è una domanda cui non so rispondere in modo immediato, sicuro. Pensandoci un po’ con calma, direi che mi mancano le camminate in montagna, e questo mi costa soprattutto vedendo che qui i monti ci sono pure. Ma, bisogna ammetterlo, non sono fatti per camminare. Tutto è roccia e sabbia, pericoloso quando predomina la roccia, per il rischio di scivolare; stancante quando predomina la sabbia, dove i passi affondano. E le ore “camminabili” sono poche, perchè quando il sole a metà mattina comincia a picchiare, si fa dura. Bisognerebbe arrivare motorizzati ad una altimetria dove il sole dia meno fastidio, ma vista l’assenza totale di sentieri non è facile trovare il coraggio di mettersi in cammino “a caso”, disposti ad un andirivieni ogni volta che la pericolosità del terreno non permetta di avanzare. E così, pur in compagnia di un altro montanaro come Tullio, stiamo qui fermi in città.

“Com’è che ti vediamo in skype sempre con uno o due maglioni addosso?”
Eh sì, il clima del deserto roccioso di Atacama. Già in Giordania avevo imparato che deserto non significa “morire di caldo” se ci si può riparare dal sole. Qui lo sto sperimentando ogni giorno. Ciò che mi ha permesso di mettere a referto già tre raffreddori, una bronchite, una congiuntivite, è l’escursione termica diurna. Ora che ci stiamo addentrando nei primi giorni invernali, la temperatura quotidiana prevede 5 gradi di minima e 25 di massima, mentre in estate è più usuale un 14-32. Ma lo sbalzo permane, sempre una ventina di gradi in più quando il sole scioglie le nebbie notturne, venti in meno quando si alza il vento di tramontana e il sole fa capolino. Stesso dicasi per l’umidità, dalle nebbie notturne fino a seccarsi la gola nelle prime ore pomeridiane. E se uno cammina per strada? Suda se il marciapiede è al sole, ma se attraversa la stada può sentire brividi di freddo stando all’ombra, sempre sperando che all’incrocio non arrivi qualche sventata fredda dai colli che circondano la città. E in stanza, dove mi collego a skype, c’è ombra... e in queste mattine circa 11-13 gradi. Ah, oggi è pure nuvoloso e ho visto scendere dal cielo le prime gocce di pioggia, giusto per bagnare un po’ il terreno. Dal 1997 le precipitazioni annue non superano i 3 cm totali.

“Sei sempre attorniato da bambini?”
Questa è una domanda che descrive bene tutte le fotografie ed immagini che i missionari spediscono in Italia. Purtroppo non è questa la fotografia delle missioni cilene, almeno non quella dell’arida realtà del deserto. Ci sono bambini, le nascite sono ancora abbondanti anche se in forte calo. Però questo ardente amore per il missionario è certamente un immagine d’Africa, o forse dei paesi più “caldi” del Sudamerica come il Brasile. Il Cile è invece il paese più “occidentale”, i bambini giocano alla play station e guardano la televisione. Nei giorni feriali stanno a scuola tutto il giorno, il fine settimana invece lo vivono in casa o giocando e chiacchierando per strada col loro gruppo di amici. Quelli che, generalmente di famiglia religiosa, non si preoccupano dell’opinione altrui, partecipano anche ad attività in parrocchia, ma come avrete capito la situazione è assai simile a quella italiana. Con il vantaggio che ci sono più bimbi, ma con il limite della pastorale cilena che prevede due anni di catechismo per ricevere la Prima Comunione e nulla più. Ciò che si può organizzare per loro prima e dopo dei fatidici 9-10 anni è tutto una novità e di conseguenza non raccoglie grandi numeri.

“Ci sono molte attività per giovani in parrocchia?”
Già avrete immaginato, solo qualcuno torna poi ai 15-16 anni per prepararsi a ricevere la Cresima. E come da voi, è generalmente l’ultimo sforzo per completare l’album dei Sacramenti, dopodiché un giovane sente di aver esaurito i suoi doveri di buon cristiano. Nel settore dove presto servizio ci sono una quindicina di ragazzi della Gioventù Francescana che si ritrovano pur con un’età di 18-25 anni. Due coppiette hanno già un figlio. Diciamo che questo gruppo è una rarità, sia perchè i loro coetanei hanno già smesso di frequentare la Chiesa, sia perchè molti ragazzi che hanno testa e un minimo di possibilità si iscrivono all’Università in Santiago o altrove. A questa età sono ragazzi già adulti, sanno organizzare molte cose con pochi mezzi. Per esempio hanno accolto in città una cinquantina di ragazzi di Gioventù Francescana di altre città del Nord, e si sono arrangiati a cercare una scuola dove potersi incontrare e dormire, hanno cotto e venduto pane alle porte della chiesa per raccogliere quattro soldi, hanno chiesto a tutti i negozi e famiglie un po’ di riso, di farina, di pomodori, hanno raccolto i materassi dalla parrocchia e da casa loro, ognuno s’è preoccupato di trovare 5 piatti fondi chiedendo a vicini e parenti vari (qui non hanno in casa il servizio piatti di riserva) affinchè tutti avessero un piatto per mangiare. N’è risultato un insieme variopinto di materassi, di piatti, di cibo, efficace dal lato pratico, capace di generare tanta tenerezza agli occhi di uno come me, abituato a tutt’altro stile di lavoro e pure a farmi problemi per dettagli marginali.

“Hai visitato qualcosa di bello e interessante?”
Posso dire di sí, ho visto quasi tutto ciò che c’è di bello nelle vicinanze di Copiapò. Dicessi questo a un abitante del luogo, la prenderebbe come una “presa in giro”. Non perchè le cose belle siano molte di più di quelle che ho visto, quanto perché secondo loro qui non c’è nulla di bello. Pochi parlano con entusiasmo della propria città, e molti ragazzi non si sono mai mossi dalla qui se non per andare in estate sulla costa oceanica, circa 30 km a ovest. Per raggiungere un’altra città bisogna viaggiare almeno tre ore, per cui si muove da qui solo chi ha parenti da visitare o visite mediche da sostenere altrove. Non sono propensi alle gite fuori porta, e molti non sono mai stati nemmeno sul Bramador, un colle roccioso con una pendice sabbiosa, che dista solo pochi minuti dalla città. Per me è stato affascinante: si scende rotolando sulla sabbia, e il movimento provoca un rumore simile a quello di un aereo in cielo, e sotto tutto comincia a tremare come una scossa di terremoto. È un’attrazione degna di Gardaland, ma al naturale. Perfino la costa oceanica è degna di nota, con spiagge particolari, scogliere, conformazioni rocciose costituite da conchiglie solidificate nel tempo, e poi pellicani, leoni marini e quant’altro. E infine, spendendo qualche spicciolo in più, siamo andati in gita con le suore e i preti della diocesi, lungo l’impervio cammino che sale al passo andino che collega Copiapò all’Argentina. Ogni monte ha il suo colore, o il suo insieme di colori, tutti diversi uno dall’altro, e quando si incontrano oasi generate dai ruscelli di montagna è uno spettacolo raro. Oltre i 4.000 metri abbiamo incontrato la Laguna Santa Rosa, un lago di montagna davvero bello, e una distesa di sale che sembrava ghiaccio, talmente resistente da poterla attraversare col pullman, con laghetti brillanti per il sale a cristalli, di cui ora conservo in stanza un ricordo.
I due frati che sono qui da più di dieci anni non manifestano lo stesso entusiasmo, dato che la gita verso il passo e quella verso l’Oceano, unita a quella della valle coi vigneti, sono le sole tre gite che si possono proporre a frati ed amici che ci vengono a trovare, il resto è solo roccia e sabbia, ma io come prima volta ne sono rimasto estasiato. Spero di non perdere il gusto per i colori del deserto.

“¿Padre, se está acostumbrando?”
Quest’ultima domanda non è vostra, lo so, però è quella che più frequentemente mi viene rivolta dai cileni, per chiedermi se mi sto abituando al Cile, alla sua gente, alla sua cultura... e alla vita del deserto in Copiapó. Ciò a cui stento ad abituarmi è l’intonazione della frase, quel Padre all’inizio e la immancabile forma di cortesia. Mi dà del “lei” chiunque, anche i laici che vedo tutti i giorni in parrocchia o i ragazzi dei gruppi. Ho chiesto uno sforzo di familiarità almeno agli animatori con cui collaboro, e quando si ricordano mi danno del “tu”, ma quasi solo quando ci pensano. Altrimenti va da sè che il padre merita tutto il rispetto, è nel loro dna.
Alla domanda rispondo sempre di sì, ed è la verità. Penso poco alle cose che ho lasciato, un po’ di più alle persone. Tuttavia non mi costa molto abituarmi ad una cultura tutto sommato abbastanza simile alla nostra, e sento che il lento processo di inserimento è simile a quello vissuto quando mi sono trasferito a Roma o a Padova, soltanto rallentato un po’ dalla lingua diversa. Ma, come dicono gli sportivi, ho buone sensazioni, cioè sento che un processo è in atto e che ogni giorno c’è qualche volto, parola, attività che ripaga la mia pazienza. Sicuramente vivo molta più solitudine rispetto allo scorso anno, però il silenzio affettivo che circonda uno straniero arrivato da poco è anche un amico prezioso nel potermi accorgere, sentire, vedere tante piccole cose che altrimenti sfuggono nella frenetica quotidianità. Per ora non sono assolutamente stressato, e sono chiamato a godere anche di questo tempo che il Signore mi dona. Per questo ho tutta la serenità e buona disposizione per potermi “accostumbrare” a questo popolo, ai suoi ritmi, alle sue debolezze e alla sua ricchezza. Con tanta pazienza, ma anche con tanta gratitudine!

Vi saluto così, all’inizio della vostra estate, ora che il sole dovrebbe fare capolino anche in Italia. Vi auguro di riuscire sempre a scaldarvi le ossa e il cuore, sapendo gioire per le tante meraviglie che vi circondano e che i cileni di Copiapó immancabilmente vi invidiano.

Un fraterno abbraccio!

fr. Christian