giovedì 15 gennaio 2009

8 - Tempo di bilanci - fr.Christian (gennaio 2009)

TEMPO DI BILANCI?


Ciao carissimi!
È già terminato il 2008, che per noi “cileni” non significa soltanto staccare dal muro il calendario vecchio per lasciar spazio a quello nuovo (sempre con accattivanti immagini alpine, gentilmente portatomi dall’Italia), quanto la fine di un anno di attività pastorali e l’inizio dell’estate, tempo di riposo, di verifica, di progettazione.
Tempo di bilanci? La domanda è d’obbligo, molti di voi mi hanno chiesto come valuto questo mio primo anno in Cile, tuttavia non sono molto convinto che il tempo trascorso (come diciamo noi frati: “un anno, un mese e un giorno”) sia sufficiente per dichiarare concluso il tempo dell’apprendistato e permettermi un valutazione esaustiva e definita. Varie cause mi spingono a sospendere il giudizio. Innanzitutto la differenza culturale, che per quanto si possa capire, per quanto si provi ad accettare, richiede un cammino lungo e tortuoso per riuscire a far propria almeno in parte. Poi la provvisorietà della nostra situazione di missione (o Delegazione) cilena, che tra un anno esatto ci vedrà impegnati ad aprire un terzo convento e a ricomporre le comunità: indipendentemente dal fatto che io rimanga o meno a Copiapó, sicuramente mi troverò a vivere con altri confratelli e pure il modo di svolgere le attività non sarà lo stesso. Cruciale è soprattutto la mia inesperienza e lentezza nell’adattarmi alla vita di parrocchia, mai vissuta prima se non come esperienza domenicale, e a dare una giusta dimensione alle inerenti responsabilità e al modo nuovo con cui sono chiamato a relazionarmi con ogni categoria di persone e alle inevitabili incomprensioni e difficoltà sperimentate. In sintesi sento ancora molto la provvisorietà della situazione che sto vivendo e al contempo di me stesso come persona.
Per questo ciò che mi conforta è fare memoria di quanto riflettuto prima di partire dall’Italia, sul senso della “missione” non come luogo dove esprimere meglio ciò che sappiamo fare, ma come esperienza privilegiata per riscoprire chi siamo, soprattutto agli occhi di Dio. A qualcuno sembrerà strano, magari penserà “sapevo che era meglio se rimaneva in Italia”, ma in verità a Padova mi sentivo assai più “utile” di quanto non mi senta oggi a Copiapó. Per chi ha in mente le immancabili fotografie del missionario attorniato da bambini o da gente in festa, atteso e cercato da tutti, faccio un paio di esempi per capire alcuni cambi di mentalità e di aspettative cui è chiamato un missionario: da sei mesi mi presento alla cappella di Cartavio con tutta disponibilità un’ora prima della Messa, ma finora non ho confessato nemmeno una persona; e dopo un anno in Cile, nessuno riesce abitualmente a darmi del “tu”, nemmeno i ragazzi dei gruppi che accompagno né gli animatori con cui mi vedo almeno un paio di volte alla settimana.
Abituato ad altra maniera di vivere il rispetto e la fiducia nelle relazioni, ogni giorno sento messo in discussione il mio modo di essere e di fare, e qui nasce la bellezza e l’“utilità” di questo mio primo anno in terra cilena, il “frutto della missione” e l’unico bilancio che mi posso permettere. Sento che questa esperienza mi sta facendo bene, anche se ogni purificazione è frutto di crogiuolo, di torchio, di setaccio. È un bilancio positivo per come quest’anno mi ha messo in discussione, mi ha permesso di conoscere meglio me stesso, mi ha fatto sentire bisognoso di Dio e di misericordia, mi ha aiutato a scorgere e apprezzare la bellezza anche di ciò che sembra poco, piccolo o banale.
La pubblicità televisiva definisce il Cile “terra di contrasti”, e qui anche l’uomo, quando si guarda dentro, si riconosce “terra di contrasti” e, con un po’ di fede, non può che sorriderne.

Ma non voglio tediarvi troppo con pensieri e riflessioni, per cui lascio spazio ad un altro bilancio, un po’ più pratico e leggero, altro bilancio che mi sento chiamato a fare soprattutto per le tante richieste che mi arrivano dall’Italia. É il “bilancio della carità”, parziale espressione di tanti volti, nomi, situazioni, drammi, necessità. Non vi posso raccontare che qualche semplice aneddoto, uno sguardo fugace su alcune situazioni di vita e di povertà.
Comincio da come ho vissuto la vigilia di Natale. Memore di come negli ultimi anni sia stato per me “il giorno delle confessioni”, seduto coi miei confratelli ad ascoltare file di fedeli bisognosi di quei tre minuti in cui raccontare i peccati dell’anno, è stato interessante immergermi quest’anno in un modo nuovo di vivere la vigilia, cioè nella preoccupazione assai più materiale che anche le famiglie povere potessero festeggiare la nascita di Gesù. San Francesco scriveva di come anche i muri dovessero essere spalmati di carne in questo giorno di festa, e noi ci siamo prodigati nel distribuire la “cena di Natale” ai più bisognosi. In tutto il Cile sono molte le associazioni, parrocchie, ditte e imprese che distribuiscono regali, cibo e dolci a grandi e piccini in questi giorni di festa. Così abbiamo raccolto nomi e coordinato gli aiuti, e il 24 di dicembre ho caricato sulla nostra camioneta un insieme di svariati generi alimentari, e con gli incaricati della ayuda fraterna (una piccola Caritas) abbiamo distribuito un pollo surgelato e riso, pasta, olio, sale e altri prodotti a 150 famiglie povere del Settore di Cartavio. Per loro è stata una festa, per me il toccare con mano la povertà e la gratitudine della gente, in particolare il sorriso di Pabla, forse quarant’anni, e una casa dove un fornelletto e una padella, un tavolino e una bacinella d’acqua adagiati su un pavimento di terra battuta davano vita alla cucina, atrio o soggiorno che dir si voglia. È la situazione in cui vivono molte persone che soffrono una malattia, incapaci di lavorare e chiamate a scegliere tra i medicinali e gli accessori per una vita più dignitosa. Nella sua situazione ho incontrato anche Anita, che sta lottando con un tumore ed è rimasta senza lavoro per uno dei frequenti incendi che si verificano in città, o Ramon, un anziano vedovo, non troppo lucido, che vive nella sua baracca con cento euro di pensione. Tutte queste persone vengono aiutate in caso di speciale difficoltà, dato che gli aiuti che possono ricevere non cambierebbero la loro situazione di base. Però con le offerte che ci arrivano dai nostri parrocchiani più facoltosi e anche dall’Italia, almeno a Natale riusciamo a dare loro un motivo di gioia e di speranza.


Differente è stato il caso di Wilfredo, anche lui impossibilitato a lavorare causa epilessia, con una moglie malata di tumore e un paio di ragazzini da seguire: è stato sfrattato dalla baracca che non era sua, ma almeno con un prefabbricato – con gli aiuti della Caritas diocesana – siamo riusciti a trovargli un tetto.
Un’altra storia che vi presento è quella di Isabel, una nostra catechista del Settore, che m’è venuta a cercare per dirmi che non poteva proseguire con il catechismo ai ragazzini, perchè le si staccava la dentiera e non voleva essere derisa da loro. Sembra un problemino da nulla, ma non è così quando mancano i soldi necessari per una visita generalmente costosa. Così l’abbiamo indirizzata alla nostra oficina dental, un servizio inaugurato da pochi mesi a favore dei poveri e con l’aiuto di un paio di dentisti che prestano questo servizio di volontariato.
Ed ora ci stiamo attrezzando per marzo, quando la fine dell’estate si presenterà di nuovo come momento drammatico per molte famiglie, chiamate ad iscrivere alla scuola i loro figli e a fornire loro la divisa, i libri e materiale di cancelleria. Lo scorso anno, appena arrivato a marzo in Copiapó, avevo avuto subito l’opportunità di coglierne il dramma, visitando una delle tante mamme con tre figli e senza marito, disperata perchè era riuscita a iscrivere i figli a scuola, ma dopo una settimana questi non volevano più presentarsi in classe in quanto derisi dai compagni per i loro “vestiti di colore”, cioè per indossare le comuni magliette e non la divisa della scuola. Quella che dovrebbe essere una concessione alle famiglie povere, in realtà risulta uno strumento di discriminazione e di burla tra i ragazzi. Così altre offerte arrivateci sono già destinate a questo scopo, consci dell’importanza che tutti ricevano l’educazione scolastica come una ricchiezza, non come un trauma.
Avrete capito come la gran parte degli aiuti e delle nostre possibilità di sostenere le famiglie povere si limita ai casi di emergenza e a quelle situazioni di necessità che puntualmente si ripresentano in alcuni momenti dell’anno. La malattia e la mancanza di lavoro – a fine estate rimarranno disoccupati la maggior parte di quanti ora stanno raccogliendo l’uva – sono le cause principali di queste emergenze e, per quanto possiamo, ci serviamo di persone in necessità anche nei lavori della chiesa e del convento, dal falegname che è stato quattro mesi all’ospedale, al muratore che ha il figlio diciottenne in chemioterapia, all’anziano cui chiediamo di lavarci l’auto... e così via. Piccole gocce, ma che nel deserto hanno un’importanza vitale.
Per concludere questo resoconto, ci sono poi i sogni più grandi, progetti che non hanno una ricaduta immediata ma che ci permetteranno di pensare al beneficio della gente a medio e lungo termine: sto parlando del “salone multiuso” di Borgoño, settore accompagnato soprattutto da fr.Tullio, che permetterà ai parrocchiani di avere un luogo per incontri e gruppi in cui crescere nella fede e nella vita sociale, a seconda di ciò che riusciremo a progettare. In tutto il quartiere non ci sono sale capaci di contenere un gran numero di persone, e con l’aiuto della Caritas Antoniana e di molti di voi ora avremo finalmente un luogo e gli strumenti per pensare più in grande, anche se sarà una sfida non facile. E allo stesso modo c’è il desiderio di rendere più accogliente la nostra “oasi francescana” in San Pedro, una cappellina a 20 km da Copiapò, che sempre più sta diventando luogo privilegiato per ritiri ed esperienze di fraternità dei nostri gruppi parrocchiali, e con una piccola sala potrebbe essere utilizzata anche d’inverno. Da poco ci sono stato due giorni con il gruppo di giovani che si sta preparando alla Cresima, e lì ho ascoltato la storia di Betzi, che da poco ha vissuto la separazione dei genitori ed è rimasta con la mamma e con quattro fratelli nati da un altro papà e quindi indifferenti al fatto che il papà di Betzi se ne sia andato, o la storia di Nicole, che piangeva raccontandomi quanto sia dura andare a raccogliere dalla strada il nonno ubriaco e lavarlo e sopportarne spropositi e minacce, o la storia di Beto, che ancora non ho capito con chi vive, ma sicuramente non con la mamma scappata di casa, né col fratello che è in carcere, né col padre che non ha mai visto. E poter chiacchierare anche di questo, in un’oasi di serenità e lontano dalle proprie case intrise di sofferenza, è esperienza di bene e di amore tanto preziosa per questi e molti altri ragazzi.

Non voglio dilungarmi oltre, spero di aver rimediato già così ad alcune carenze nei miei precedenti racconti. Chi ha esperienza di missione sa quanto sia difficile far capire al “mondo occidentale” che coi soldi non si risolve tutto, e che non sempre si fa del bene a un povero regalandogli qualcosa. Ma questo è un argomento troppo lungo e non ho ancora l’esperienza sufficiente per affrontarlo. Ho preferito dipingervi qualche volto e farvi arrivare un grazie attraverso i loro sorrisi, un grazie indipendentemente da quale sia il vostro modo di accompagnarli di lontano e di essere persone solidali con quanti invece sono il vostro prossimo.

Tempo di bilanci? Ho scritto il titolo con il punto interrogativo, non del tutto convinto che sia già arrivato il tempo dei resoconti, ma Word non ha accettato il punto di domanda quando ho voluto salvare questa lettera. Lascio quindi a voi la scelta, se vi piace pensare queste pagine come la sintesi di tanti doni che Dio e il popolo cileno mi hanno fatto quest’anno, o se sia semplicemente la tappa di passaggio di una benedizione più grande che ancora mi sfugge. A me ovviamente vanno bene entrambe le possibilità!
Vi auguro di cuore un felice 2009, che porti nei vostri cuori e nelle vostre case tanta gioia e serenità, e la grazia di saper guardare il mondo con gli occhi amorevoli di Dio e con la speranza che viene dalla fede in Lui.
Un abbraccio a tutti!
fr.Christian