venerdì 24 aprile 2009

9 - L'autunno è arrivato - fr.Christian (aprile 2009)

È arrivato l’autunno.

Ciao carissimi!
È davvero un bel po’ di tempo che non vi scrivo, lo so. Mi sono preso un po’ di pausa estiva fino a metà marzo, e poi il mese seguente è scappato via senza trovare il tempo per fermarmi a pensare e scrivere, immerso invece nella programmazione di un anno che si presenta denso e ricco di appuntamenti, e poi nelle celebrazioni pasquali dei giorni scorsi. Giusto per capirci, è come se la Pasqua fosse arrivata quest’anno alla metà dell’ottobre italiano. Negli ultimi giorni di quaresima abbiamo avuto il tempo di riavviare le attività e i gruppi già consolidati, poi ci siamo dedicati alla Settimana Santa, infine la scorsa settimana sono cominciate le nuove proposte di formazione, la catechesi del primo anno, le varie proposte di preghiera mensili, le nuove iniziative caritative. Mi vien quasi da dire che è già tempo di riposarsi un po’... e fortunatamente da domani saremo in ritiro in un monastero a sud di Santiago, immersi nel verde, per gli esercizi spirituali che fanno tanto bene all’anima e anche al corpo.
Facendo un passo indietro, la mia estate è volata via veloce e tranquilla, nel susseguirsi di giornate normali, fatte di lettura, visita alle famiglie, qualche corsetta o partitella a calcetto per tenermi in forma e un po’ di lavori domestici... incluse le arrampicate per raccogliere i fichi del nostro albero, in un misto di premura per raccogliere la frutta fresca che la natura ci offre quando irrighiamo il deserto, e di nostalgica arrampicata estiva in mancanza di ferrate dolomitiche dove potermi dilettare. Ah, forse devo spiegarvi cosa intendo per lavori domestici, giusto per dirvi come la terra di missione imponga qualche cambiamento anche ai più resistenti: ho imparato a cucinare almeno cinque o sei piatti diversi, in mancanza della cuoca e dell’esperto fr.Tullio (che se ne stava in Italia a mangiare pizza e strudel, sigh); e ho pure dovuto occuparmi del cambio di pavimento nel nostro soggiorno, cosa improba non tanto per i mobili da spostare o per la quantità di libri da riordinare – chi mi conosce bene, sa quanto io sia paziente e puntiglioso – ma per il trauma di dover scegliere e comperare le nuove piastrelle e un po’ di altre cose, vedendomi così obbligato a una spesa che per me è quasi un trauma. Non ho comunque imparato a spendere soldi per comprare qualcosa per me, ma almeno per il convento ce l’ho fatta!
Saltando ad argomenti meno autobiografici, mi piacerebbe riuscire a spegarvi il concetto e lo stile di vacanza dei nostri parrocchiani, o almeno di quelli meno abbienti dei settori popolari. Si può dire che ci sono due diversi modi di fare vacanza. Un buon numero di persone, come capita anche in alcune regioni italiane, ha una “casa al mare”; sono nati così alcuni paesetti estivi lungo la costa, che si svuotano negli altri mesi dell’anno. Alcuni sono caratteristici per i colori delle case, in stile Burano, ma ovviamente stiamo parlano di “case” sui generis, di compensato e lamiera, ciascuna col suo piccolo generatore di corrente elettrica e i bidoni dell’acqua riempiti da un camion che passa un paio di volte al giorno. E qui le famiglie si stabiliscono per i tre mesi estivi, a tutto vantaggio del relax e purtroppo anche del “trago”, cioè del “sorso” d’alcool, con birra e ron tra in testa alla classifica. Per famiglie s’intende ovviamente tutto il parentado, con qualche lavoratore per famiglia che fa la spola tra i giorni di lavoro in città e la casa al mare durante il fine settimana.

Non tutti hanno una “casa” al mare: per mancanza dei soldi necessari (per la casetta, non per il terreno che ovviamente è occupato senza spese né contratti) o anche per scelta. Molti infatti preferiscono “accampare” in spiaggia, sempre con uno stile familiare che mi ha sorpreso e divertito: sono arrivato a contare sedici tende accostate a semicerchio, attorno al grande gazebo che fa da cucina e soggiorno, il tutto circondato da teloni di protezione, posti anche come soffitto. Anche qui con illuminazione propria, bagno chimico e bidoni d’acqua potabile, ossia una normale abitazione dei settori popolari della città, ricreata con tende al posto delle stanze. Per farvi capire quanto la tradizione sia radicata, vi devo raccontare lo scambio di battute con una coppia di over 70 che sono andato a visitare, lui obbligato a trascinare la “bombola dell’ossigeno” per complicazioni polmonari. La signora si lamenta di non poter andare in vacanza perché per il marito è necessaria la corrente elettrica; io ingenuamente chiedo se non abbiano possibilità di farsi qualche giorno nella località costiera di Caldera in un appartamentino in affitto a basso costo, però lei prontamente mi risponde: “Ma se devo andare a fare le vacanze in un’altra casa, dove sta il bello? Se non posso andare in tenda preferisco starmene a casa mia!”. Il ragionamento non fa una grinza, alla faccia dei settant’anni suonati.


Così anch’io sono stato qualche giorno in tenda con alcuni ragazzi del gruppo dei cresimandi, senza ovviamente tutta la struttura delle famiglie che rimangono in spiaggia tutta l’estate. Qualche tenda, una un po’ più grande che è servita da cucina, sala incontri, bisca clandestina, cappella per la messa domenicale dopo aver mandato i ragazzi ad invitare le famiglie degli “accampati”... Insomma, ci siamo divertiti e riposati. Ed era fine febbraio, ma l’ho detto a pochi per non farvi troppa invidia, visto tutta la neve e il freddo che avete patito! ☺
Ah, dimenticavo, anche qui si mangiano gli spaghetti e... pure i bambini cileni sanno arrangiarsi. Così vi presento la nostra mascotte della spiaggia, che si chiama Enrique.

Sono già scivolato alla terza pagina di questa lettera; avevo pensato di scrivervi altre due o tre cosette, ma le lascerò per la prossima lettera. Inoltre è il caso che vada a preparare qualcosa da portarmi agli esercizi spirituali, tra un’ora parte il bus! Eh sì, qui si viaggia di notte per risparmiare tempo e fatica, dato che Santiago è a undici ore di distanza, e poi ce ne saranno altre due per arrivare al monastero.
Un’ultima cosa però è doveroso che ve la scriva: la preoccupazione e le condoglianze di moltissimi parrocchiani al popolo italiano per il terremoto. Molti ci hanno chiamato per sapere delle nostre famiglie e dei nostri amici, c’è da dire che in questo i cileni sono davvero premurosi. Non ditelo a mia mamma, però – come mi successe nel mese vissuto in Africa – anche qui mi chiedono sempre che cosa lei ne pensa del fatto che io viva qui e come sta e mille altre domande. Come mi diceva ieri una signora, al marito ha detto chiaro che prima vengono i suoi figli, poi sua mamma, al terzo posto il marito. Bene, unito alla preoccupazione per le nostre mamme e i nostri parenti, c’è stato il dolore per il popolo italiano ferito: qui i terremoti sono cosa seria, considerato che si sentono scosse tutti i mesi, ma che solo quando fanno danni (cioè quasi mai) vengono chiamati terremoti. Per tutte le altre scosse si adopera un’altra parola, traducibile con tremolio, anche se questi tremolii possono durare pure mezzo minuto e con un’intensità che in Italia farebbe molti danni. Qui no, le case sono di fango e cartone, ad un piano... e le poche che hanno due o più piani, sono costruite per uffici o famiglie che possono permettersi di rispettare le norme antisismiche. Diciamo che ci si fa l’abitudine.
Ora vi devo proprio lasciare, altrimenti non arrivo a spedire la lettera e dovete aspettare un’altra settimana. Con la promessa che i prossimi giorni mi ricorderò di pregare per tutti i miei amici italiani.
Un frateno abbraccio!

fr.Christian