sabato 29 agosto 2009

11 - Testimonianze dalla missione - fr.Christian (agosto 2009)

Ciao carissimi!
Eccomi a voi con una nuova lettera "chilometrica"... non tanto per il numero di parole, quanto per l'intreccio tra Cile e Italia sia nei personaggi che l'hanno composta, sia nella redazione del sottoscritto, che ha cominciato a scrivere a Copiapó e ora ve la invia dal ridente e ameno paesetto di Rallo.
È sempre bello tornare a casa e respirare un po' di aria familiare e di verde; questi primissimi giorni in Italia ho proprio goduto del calore della mia famiglia e delle montagne. La settimana prossima andrò in visita alle Dolomiti, poi mi metterò in marcia anche per cercare di salutare alcuni di voi.

Intanto vi mando l'ennesimo saluto via mail, ma da vicino...
A presto!
fr.Christian

11 - TESTIMONIANZE DALLA MISSIONE

Ciao carissimi!

Nell’ultima mia lettera vi avevo manifestato il desiderio di “lasciare la parola ad altri” in queste righe che vi accingete a leggere. Sono riuscito a raccogliere qualche riflessione, nella maggior parte dei casi letterale, dei nostri amici che un mese fa ci hanno fatto visita per condividere venti giorni in terra cilena: fr.Vanni, Valentina, Raffaella, Vincenzo, Daniela, Alessandro, Veronica, Nicola, Barbara e Giacomo. Vi ho scritto ora i loro nomi per non ripeterli in seguito, nomi di amici quasi tutti della Gioventù Francescana, di domicilio a Padova o Treviso ma originari di diverse regioni d’Italia.
Non mi dilungherò a raccontarvi che cosa hanno fatto in Cile, anche se vi posso nominare alcune delle esperienze più significative: la “missione popolare” con visita porta a porta alle famiglie del settore di Cartavio, la visita agli ammalati in compagnia della Caritas, la festa e la processione di Santa Maria degli Angeli, il pomeriggio di animazione con gli anziani a Santiago e quello con i giovani a Borgoño, l’incontro con gli immigrati di Copiapó, i pellegrinaggi alla Virgen de la Candelaria e a Santa Teresa de los Andes... tutto preparato da incontri relativi alla religiosità, cultura, società, economia e folklore cileni, e condito da qualche gita turistico-culturale. (segue...)



Ma, come capirete dalle loro testimonianze, ciò che più rimane impresso quando si riesce ad entrare in contatto con la cultura e la fede del popolo cileno non sono le cose fatte. Mi piaceva la considerazione espressa da uno dei ragazzi al termine della verifica dell’esperienza, che rivolgendosi agli altri chiedeva: “Ma vi siete accorti che tutti abbiamo sottolineato ciò che ci porteremo a casa e nessuno ha pensato a cosa può aver donato agli amici cileni?”. È il vero miracolo della missione, il ritornello di tutti i missionari che si può capire solo quando lo si vive: in missione non si va perchè si ha qualcosa da dare, ma perchè si è disposti a ricevere, a lasciarsi cambiare.
Anch’io, come tutti, cercherò di spiegarlo al mio rientro in Italia, anche se ovviamente cosciente che i risultati non saranno sempre convincenti.
Eccovi allora alcuni stralci di riflessione dei nostri amici, doverosamente mescolati in un variopinto collage.

  • “Ho il cuore pieno di volti, di parole, di suoni, di immagini. I grandi contrasti del Cile mi hanno toccato il cuore”: “il deserto più arido del mondo in cui vive gente generosa e vogliosa di condividere tutto, i grattacieli della capitale e le sue povere case popolari, la solitudine di alcuni anziani che abbiamo visitato e la gioia della fraternità dei giovani che ci hanno accolto e abbracciato e con cui abbiamo pianto nel lasciarci”, “il clima pazzo di Copiapó – dove si dice che in ventiquattr’ore si susseguono tutte le quattro stagioni – in cui il mezzogiorno d’inverno sembra già primavera inoltrata”, “la solitudine del deserto come la bellezza dei suoi tramonti e dei suoi cieli stellati”, “i contrasti dei suoi paesaggi, come della sua realtà socioeconomica, della sua religiosità genuina e semplice e al tempo stesso sontuosa e folkloristica, delle sue belle villette e delle case di fango e lamiera”.

  • “E ricordo sempre anche gli odori intensi, delle strade; delle case, che potevo sentire grazie all’ospitalità dei suoi abitanti; delle persone, percepiti grazie alla vicinanza che si creava negli abbracci. E la semplicità genuina di persone che riescono a riscoprire e rileggere il senso delle cose, a trasformare un vecchio materasso di spugna in pennelli per dipingere, riuscendo così a non essere schiavi delle cose e liberi di scegliere”.

  • “Non posso dimenticare il calore della gente, con la sua accoglienza spontanea e solenne al tempo stesso”, “il suo caldo benvenuto, gli occhi sorridenti, le tavole imbandite con biscotti, panini e thè con le quali siamo stati accolti”, “feste di benvenuto che ci hanno accompagnato ovunque e piacevolmente perseguitato tutti i giorni”, “e le relazioni instaurate, piene di bellezza fin da subito, percepite negli occhi lucidi di gioia già al nostro arrivo e tristi alla nostra partenza”, “la discrezione e dignità, la sincerità dell’affetto, la disponibilità e fraternità dei ragazzi della gioventù francescana cilena, della gente conosciuta nella missione a Cartavio e nelle altre comunità incontrate. La loro umanità ha superato quelle differenze che ho percepito e che mi hanno colpito, che pure ho visto e quasi toccato nella povertà delle baracche, aiutandomi così a cercare di andare oltre (anche se non sempre mi è stato possibile) la superficialità e il giudizio da occidentale, toccandomi il cuore e aprendomi la vista sulle mie povertà”.

  • “Mi ha colpito la capacità delle persone di amare sinceramente e liberamente, immuni dai pregiudizi del benessere, che si sanno accontentare di poco e che del poco fanno la loro ricchezza. Questo permette loro di poter vivere liberamente i propri sentimenti e le proprie emozioni senza preoccuparsi del diventare o dell’apparire, ma solo dell’essere e del vivere. In questo ritrovo i concetti di vita con cui sono cresciuto, quelli che mi sono stati trasmessi e che spesso vogliono riemergere, ma rischiano di morire soffocati da quello che la nostra quotidianità ci propone, dalle esigenze del benessere e delle persone che ci circondano”.
  • “Che cosa mi porto in Italia? Molto ho ricevuto da questa terra, e molto poco o nulla ho potuto dare. Sono grato di tutto ciò che ho vissuto, di ogni singolo momento”. “Mi porto a casa gli sguardi delle persone, i sorrisi gratuiti, i ringraziamenti al Signore per la salute e il lavoro - che noi spesso non facciamo e non pensiamo essere importanti -, il colore del cielo così azzurro che mi dava pace e serenità, l’allegria dei ragazzi con cui abbiamo condiviso le esperienze, il deserto e i suoi colori, l’accoglienza, l’amore e l’affetto che ci hanno donato gratuitamente, il piacere di rividere la Gifra e di ritrovare anche nel mio mondo la pace che ho visto in molti volti quando gli si donava un semplice sorriso”.

  • “Mi porto a casa la sensazione di essere più simili, anche se lontani, quando si condividono sogni, valori e la gioia di stare insieme con lo stupore semplice per le cose belle, i sorrisi autentici, gli abbracci fraterni, gli occhi infiniti dei bambini, la gioia e il coraggio di un cuore giovane, l’energia e la speranza dello sguardo dei ragazzi, in definitiva la forza di comunione di una fraternità che si accoglie e si trova nell’altro”. “Ritorno con l’emozione di aver rivisto il volto di Cristo in quello delle persone che ho incontrato, in ogni sorriso e ogni lacrima, in ogni volto che racchiudeva tutta una storia; di aver sentito l’amore del Padre nelle mani di fratelli e sorelle che mi hanno accolta, abbracciata, accarezzata... mani lisce e morbide di bambini, mani forti e giovani di ragazzi coraggiosi e generosi, mani rugose di anziane che hanno speso tutta la vita lavorando per la loro famiglia”.

  • “E mi riporto in Italia la gioia per la fratellanza e l’accoglienza di questo popolo, per la ‘compassione’ delle persone che ho incontrato e coi cui mi sono commosso nei saluti, per la voglia di condivisione nonostante la povertà, per la gioia e la semplicità dei divertimenti genuini dei bambini”. “Ricorderò il desiderio e la capacità di ‘far memoria’, rappresentata dallo sguardo di una mamma che mi chiede una dedica per il figlio, per potergliela dare quando sarà grande affinché egli possa ricordare”. “Porto anche nel cuore la radicalità di una natura selvaggia e solitaria, che può apparire arida eppure prospera”.

  • “Ho avuto pure la possibilità di incontrare e sperimentare i miei limiti. Forse la cosa più preziosa è stata proprio l’aver vissuto ogni giorno un mio limite ed essermi resa conto la sera che, anche se con difficoltà, l’esperienza fatta era stata valida ma soprattutto mi aveva fatto crescere”. “E ora, nel tornare al mio mondo occidentale, sento uno strano senso di inadeguatezza e impotenza. Mi accorgo di alcune catene a cui sono legato... e mi propongo di scioglierne almeno qualcuna”.

  • “Ritorno con il cuore carico come le scarpe, impregnate della sabbia del deserto di Atacama: sabbia che lentamente e senza che tu te ne accorga ti entra nelle scarpe, nei piedi e non esce più… così come l’amore e l’affetto di queste persone che ti penetrano nel profondo e non ti lasciano più”.
Non aggiungo molte altre parole a quanto espresso con passione dagli amici che hanno potuto vivere con noi questa esperienza in terra cilena. Spero che molti tra voi, in Cile o altrove, possano vivere un’esperienza simile e soprattutto possano farne memoria e stimolo di conversione nel loro quotidiano.

Volevo scrivervi qualcosa anche riguardo ai quattordici giovani cileni che, con fr.Tullio, hanno partecipato al Convegno Internazionale Giovani verso Assisi e hanno poi visitato alcune città e conventi in Italia. Ma concretamente non ho avuto molto tempo per chiacchierare con loro nei tre giorni tra il loro rientro in Cile e la mia partenza per l’Italia. Ho avuto il tempo di capire che sono rimasti affascinati da Assisi, soprattutto dalla tomba di Francesco e Chiara; che secondo loro gli Italiani dovrebbero dire un ‘grazie’ ad ogni passo che fanno, dato che la natura e l’arte sempre offrono ai loro occhi cose stupende; che non capiscono bene quel po’ di freddezza che traspare al primo impatto, soprattutto se poi anche gli italiani si manifestano aperti e accoglienti (sarà che hanno visitato soprattutto il Nord); che non si capacitano ancora di come la macchina fotografica, da loro dimenticata su un muretto, non sia stata intascata come gradito omaggio, ma riconsegnata al negozio del Santuario di San Romedio e poi al legittimo proprietario (speriamo non succeda solo in Val di Non, comunque non diteglielo!); che gli Italiani mangiano troppa pastasciutta per i loro gusti ma, dato che è proprio buona, anche loro sanno farsela piacere, eccome! E mi hanno chiesto di far arrivare un ringraziamento alla gioventù francescana e ai frati incontrati, dicendomi che il fatto di aver conosciuto i dieci italiani venuti in Cile li ha molto aiutati a sentirsi fratelli del popolo italiano, e che l’accoglienza ricevuta li ha fatti definitivamente sentire come a casa loro.

Per chi volesse leggere qualcosa di più, in http://digilander.libero.it/viviamaspera/letteraassisi2009.pdf trovate il resoconto di fr.Tullio che li ha accompagnati (e nel blog pure qualche foto).
Così vi saluto, sperando di poterlo fare anche di persona nei prossimi giorni, per quanto mi e vi sia possibile.
Un abbraccio!

fr.Christian

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